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GRAN FONDO CONCA DI SMERALDO
di Lorenza Santi
Nella seconda metà degli anni ’90 nell’ambiente granfondistico si aprì un dibattito sull’opportunità di limitare la partecipazione alle Gran Fondo della domenica soltanto agli uomini, riservando però alle donne una manifestazione del tutto analoga ma di chilometraggio ridotto, da disputarsi il giorno prima. Si può ben immaginare che polverone di pareri contrastanti abbia sollevato una simile proposta. Anche se le intenzioni di chi la propose non erano animate da alcun tipo di discriminazione, furono proprio le atlete a respingere con decisione questa ipotesi. La bocciarono senza appello le granfondiste di classifica, che, se avessero dovuto correre tra sole donne, non avrebbero potuto contare sull’appoggio dei propri gregari. La rifiutarono nettamente, però, anche le ben più numerose cicliste meno attente agli ordini d’arrivo, ma per nulla disposte a rinunciare alla compagnia di amici e compagni nei tanti chilometri di una Gran Fondo. E’ inutile dire che, grazie al Cielo, l’idea di sdoppiare il calendario delle Gran Fondo in base al sesso non si è mai concretizzata. Per contro, trovò realizzazione il tentativo (bissato più recentemente a Laigueglia) di organizzare una Gran Fondo riservata esclusivamente alle cicliste: la “Gran Fondo Conca di Smeraldo”, anzi, più precisamente, la “Gran Fondo femminile Conca di Smeraldo”. Va detto, innanzitutto, che l’esperimento si limitò a un paio di edizioni, di cui si ricorda soprattutto la prima, organizzata in provincia di Vicenza alla fine di maggio del 1998 (stesso CO dell’attuale GF WHYSport di Valdagno coordinato da Piero Casalatina), nella quale un centinaio di atlete si confrontarono su un tracciato di circa 100 chilometri e 1700 metri di dislivello. Gli organizzatori vicentini collocarono l’arrivo e la partenza a Recoaro, così da poter sfruttare l’ottima dotazione logistica del centro termale. A onor del vero, la “Gran Fondo femminile” non prestò il fianco ad alcuna lamentela, né mostrò particolari lacune organizzative. Bello il percorso sui Colli Berici, adeguata la sicurezza in gara e apprezzabile pure il dopo-corsa. Se letta nel contesto granfondistico di allora, anche l’intuizione di allestire una corsa solo per le cicliste non fu, poi, così malvagia. L’idea, infatti, nacque un po’ per far crescere la presenza femminile alle Gran Fondo, allora ancora modesta nel nostro paese, e un po’ per verificare almeno una volta l’effettivo valore di atlete che, per tutto il resto della stagione, potevano contare sull’aiuto non indifferente dei compagni di squadra. Gli obiettivi, però, furono centrati solo in parte. Raccogliere un centinaio di iscritte a una Gran Fondo solo femminile disputata nel 1998, da un lato, va ricordato come un successo e, senza dubbio, avrà spinto altre cicliste ad avvicinarsi all’ambiente. Per contro, l’assenza di pressoché tutte le migliori granfondiste di allora vanificò il tentativo di farle gareggiare, almeno in quell’occasione, senza il vantaggio, vero o presunto, di qualche gregario e lasciò via libera per la vittoria a Maria Canins, che, in quegli anni, frequentava spesso l’ambiente del ciclismo amatoriale. Nonostante l’originalità dell’idea e i commenti sostanzialmente positivi, la “Gran Fondo femminile”, proprio per l’esiguità del numero di iscritte in rapporto allo sforzo organizzativo, non ebbe una vita lunga e, dopo una seconda edizione, allestita con minore successo ad Asiago, non fu più riproposta.
Credito foto: magicoveneto.it
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