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SE FOSSE MUSICA...
di Stefano Conca. Adattamento Paolo Dossena
Se il #runnerlesodasparo fosse una genere musicale, sarebbe rock. Una canzone dal ritmo forsennato fin dalla prima battuta. 140/160 battiti al minuto a ricalcare la cadenza di corsa isterica. Dal suono distorto e “rotto” come gli strappi continui. La voce stridula e urlata simile all’ostentazione della velocità e dei mezzi feroci. Lo vedi saltare davanti a tirare con un “Jump” dei Van Halen, lo ascolti ansimare e osservi il suono acido della maledizione di Hendrix. Quando la pioggia picchietta sulle teste è lo “slow hand” di Clapton. E’ il suono del blues mentre il polline s’alza nei giorni di primavera. È bacchette veloci sul bordo del rullante come la cadenza delle galoppate nei prati. E mentre “Run to the Hill”, succede che scende “ down to The river “ e con in tasca “ Money for nothing” risale la montagna smarrito ma felice “Where the streets have no name”.

La musica classica ci ricorda il #regularunner, quello che non cambia mai, nemmeno in salita. La sezione archi suona leggera come i passi corti della sua andatura. I fiati e i i legni irrompono nelle accelerazioni mai scomposte. Dal tono minore nelle salite più dure, maggiore sulle lunghe pianure, esplosiva nelle volate. Si suona l’adagio oltre il 18%, l’allegro sui mangia e bevi, la marcia durante gli ingressi trionfali nei grandi parchi.
Quando danza sugli appoggi è perfetto come l’aria della regina del “flauto magico”. E’ la “cavalcata delle valchirie” quando tira il gruppetto, fastidioso come il “volo del calabrone” mentre indugia per chi deve lanciare lo “strappo”. Qualunque sia il momento, la sinfonia e’ dappertutto.

Il #runnerpercaso è POP, talvolta Underground, e ogni tanto Liscio. Popolare come la natura della corsa stessa. Lo sport di tutti, e per tutti. Noi del “fatti mandare dalla mamma”, delle “ domeniche bestiali”, del “siamo solo noi” che è poi come dire, che ci siamo proprio tutti. Underground come i sobborghi metropolitani, fumosi ed umidi dove non batte mai il sole. Ma anche dove l’abbigliamento della corsa è quella musica un po’ fai da te, trasformata, pitturata, insomma sistemata con ciò che si ha a disposizione. Infine c’è sempre l’uomo col cappello, quello che con delle scarpe "del diciottesimo secolo“, corre gioioso ingoiando la domenica, e cantando “Romagna mia, Romagna in fiore”.
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