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ABEBE BIKILA, OSSIA L'ORIGINE DELLA LEGGENDA
di Gabriele Gentili
Per più dei primi vent’anni della sua vita, mai Abebe Bikila avrebbe pensato di fungere da spartiacque della storia della maratona e quindi dell’atletica mondiale. L’atletica, non sapeva nemmeno cosa fosse. Nato nel 1932 in una cittadina chiamata Jato a 130 km dalla capitale etiope, tutta la sua infanzia viene dedicata come per i suoi coetanei alla scuola e ad aiutare i genitori nella pastorizia. Dopo aver completato a 12 anni il periodo della scuola obbligatoria, Abebe è alla ricerca di una sistemazione, che trova arruolandosi nella Guardia Imperiale. Per i primi anni svolge i compiti prefissati per il suo impiego, ma quando assiste alla sfilata degli atleti che avevano partecipato alle Olimpiadi di Melbourne 1956 sogna di poterli emulare. D’altronde in lui aveva sempre albergato un forte spirito competitivo. E su questo fa leva il tecnico svedese Onni Niskanen, che intravede nella sua figura segaligna qualcosa in grado di sconvolgere le gerarchie del tempo. Nel 1960, Bikila s’iscrive alla maratona qualificativa per i Giochi Olimpici. Nessuno lo conosce, nessuno scommette su di lui, il favorito è invece Wami Biratu, campione nazionale sui 5 e 10 mila metri. E per quasi tutta la gara è proprio Wami a guidare la corsa, ma improvvisamente lo speaker annuncia che un atleta giovane e ignoto di nome Abebe Bikila è al comando della prova. Al traguardo la folla lo accoglie tributandogli un’ovazione per la sua impresa, cogliendo nella sua figura neanche troppo stanca le stimmate del nuovo campione. Bikila parte per Roma dove non è tra i favoriti. Bisogna considerare che al tempo i corridori dell’Africa Nera erano semplici comparse nelle manifestazioni importanti, solamente dai maghrebini arrivavano saltuari exploit internazionali.

La gara romana si tramuta ben presto nella sfida diretta fra il marocchino Rhadi e Bikila, un confronto che esalta le folle che ben presto fanno il tifo per il corridore etiope; quest’ultimo infatti colpisce la fantasia di tutti per il suo stile di corsa apparentemente senza fatica e, fattore da non sottovalutare, correva a piedi nudi. Passa vicino all’obelisco di Axum, che l’Italia fascista aveva portato via dall’Etiopia negli anni Trenta ma neanche lo degna di uno sguardo, concentrato com’era sulla sua corsa che alla lunga stronca la resistenza dell’avversario. Le luci fotoelettriche consegnano ai posteri le immagini del suo arrivo sotto l’Arco di Costantino nella gara che ancora oggi è leggenda per la maratona.

E' nato un campione e per la prima volta l’Africa era in cima al mondo. Ed era solo il passo iniziale. Con il suo tempo finale, 2h16’02”, Bikila stabilisce il nuovo record mondiale sulla distanza dei 42,195 km, ma è chiaro che gli addetti ai lavori vogliono capire se si sia trattato di un episodio o se davvero si profila l’era di un campione assoluto. Intanto rimangono attoniti assistendo ai suoi esercizi di defaticamento dopo l’arrivo e apprendendo che l’unico ristoro durante la gara sia stata… un’arancia. Bikila non si scompone, d’altronde per la maratona ha sviluppato un amore viscerale che ne fa una sorta di messaggero della cultura etiope in giro per il mondo. Nel 1961 vince due classiche del tempo, la Mainichi Marathon in Giappone e la prova di Kosice in Cecoslovacchia, nel 1962 trionfa ad Atene, alle radici della maratona. Il suo nome è ormai noto ovunque e l’edizione olimpica di Tokyo gli propone una nuova sfida: essere il primo a vincere l’oro olimpico in maratona in due edizioni consecutive. Un sogno che sembra infrangersi a sei settimane dalla gara, quando è improvvisamente colto da un forte attacco di appendicite che lo costringe a sottoporsi a un’operazione. Si presenta a Tokyo ancora convalescente, chi lo vede scendere dall’aereo non può fare a meno di notare la sua leggera zoppia, inoltre sono saltate tutte le ultime settimane di allenamento. Ancora una volta nessuno scommetterebbe un dollaro su di lui. Negli ultimi giorni prima della gara olimpica Bikila si allena con i compagni di squadra e giorno dopo giorno sente rinascere in sé la fiducia e conseguentemente un minimo di forma fisica. In gara il popolo giapponese, che pure confida nei suoi tre rappresentanti, elementi di una scuola da sempre all’avanguardia, inneggia al campione etiope, che questa volta sceglie di correre con le scarpe. E corre veloce, molto veloce, tanto da infliggere al secondo arrivato, il primatista mondiale Basil Heatley (Gbr) più di 4’ di distacco. Bikila lo priva anche del record fissandolo in 2h12’11”, un risultato che ancora oggi farebbe la gioia di molti maratoneti di professione.

La sua voglia di correre non si arresta, ma il tempo passa: ai Giochi di Città del Messico c’è ancora, con 36 primavere sulle spalle. Troppe. In gara rimane fino al 17° km, poi dà via libera al connazionale Mamo Wolde, argento nei 10.000 dopo che, dodici anni prima, era stato ultimo in batteria negli 800 e 1.500. Ecco, forse è l’espressione migliore della trasformazione del corridore africano, prima comprimario e poi protagonista assoluto, grazie a Bikila. La sua storia di maratoneta si chiude lì, colpa di un infortunio che gli costa la frattura di una gamba, con 15 gare fatte di cui 12 vinte, un rullino di marcia impressionante. La vita inizia a presentargli il conto: nel 1969 con la Volkswagen regalatagli dal governo etiope per la sua seconda vittoria olimpica incappa in uno spaventoso incidente stradale. La diagnosi è senza speranza: frattura della colonna vertebrale, paralisi degli arti inferiori. Lo spirito indomito di Abebe Bikila non si piegò alla malasorte, anzi il campione etiope inizia a cimentarsi nelle competizioni per paraplegici vincendo un gran numero di gare e divenendo la star delle Olimpiadi per paraplegici di Londra. Nel 1973 un’emorragia cerebrale, forse frutto dei postumi dell’incidente, chiude la sua parentesi terrena a 41 anni, consegnandolo alla leggenda. Ad Addis Abeda vengono celebrati i funerali di Stato, alla presenza di una folla enorme e commossa che saluta l’uomo che ha portato il nome dell’Etiopia in giro per il mondo, tracciando un solco per tutti i suoi connazionali. Da allora l’Etiopia diviene una potenza del mezzofondo mondiale e chi si dedica alla corsa trova una strada per affrancarsi dalla povertà. E forse è questa la più grande vittoria di Abebe Bikila.
Credito foto: www.raccontosportivo.it
Credito foto homepage: Archivio_Iaaf
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