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JOAN BENOIT NON PASSA MAI DI MODA
di Gabriele Gentili
Ci sono atleti che il loro posto nella storia sportiva se lo sono sudato. Joan Benoit Samuelson è una di questi, sin dai suoi inizi e il suo ruolo continua a costruirlo col passare dei decenni. Collochiamo il tutto nel tempo: Joan Benoit è la prima maratoneta vincitrice di un oro olimpico, nel 1984 a Los Angeles, in una delle poche gare di quell’Olimpiade che aveva davvero un valore qualitativo elevato perché, al di là delle tedesche est Doerre e Pippig, non c’erano grandi atlete nel blocco comunista, perlomeno non all’altezza di quelle in gara negli Usa. Quella vittoria ha radici lontane nel tempo, risalenti almeno a 12 anni prima: Joan ha 15 anni, è appassionata di tutti gli sport ma soprattutto di sci e come accade a molte sue coetanee, la sua passione diretta soprattutto allo slalom un giorno le costa una frattura a una gamba. La riabilitazione passa per la corsa, il footing che in quegli anni sta diventando una vera moda e Joan ci mette ben poco a sostituire la sua passione. Anche perché con la corsa vede che se la cava più che bene e vince ogni volta che ci prova.
Nel 1979, quando ormai l’ostracismo alle donne nelle maratone è venuto meno da qualche tempo, capisce che è arrivato anche per lei il momento di provarci. Sceglie la Boston Marathon (sotto nella foto) infischiandosene di chi le sconsiglia l’esperienza ricordandole la fatica della Hearthbreak Hill, la collina spaccacuore che rompe il ritmo. Più che la gara, quel che l’affatica è il pregara: per raggiungere la partenza è costretta a due miglia di corsa per “saltare” il traffico, arrivando appena in tempo. Comunque domina la gara vincendo in 2h35’15”, otto minuti meno del precedente record della corsa. Inizia lì una serie infinita di vittorie che culmina nel 1983 con un’altra Boston Marathon, ma questa volta condita dal record mondiale nel fantastico tempo di 2h22’43”, oltre due minuti meglio del precedente record della neozelandese Allison Roe, costretta al ritiro nella stessa gara. Per la Benoit è l’apoteosi, si parla di un tempo “maschile” e la campionessa del Maine diventa una star in tutto il Paese, con servizi televisivi e copertine patinate.
Arriva l’anno delle Olimpiadi, le prime aperte alla maratona femminile e la Benoit è la favorita, insieme alla norvegese Waitz. Ma la strada per arrivare a Los Angeles è resa impervia da un brutto infortunio al ginocchio che le piove addosso tre settimane prima dei Trials: 17 giorni prima della corsa viene operata in artroscopia al ginocchio destro, ma con la sola forza di volontà riesce a rimettersi in piedi, a correre la gara di qualificazione e addirittura a vincerla. A quel punto la gara olimpica è un gioco da ragazzi: dopo appena 14 minuti di corsa la statunitense è già in fuga, la Waitz, convinta che presto cederà, la lascia fare così il suo vantaggio sale a oltre 2 minuti e nella seconda parte la riscossa della norvegese è vana anche perché la Benoit non perde che pochi secondi, chiudendo in 2h24’52”. Terza è la portoghese Mota, quarta l’altra norvegese Kristiansen, a dimostrazione che quella è una sfida fra dee della maratona.

Una serie infinita di infortuni la porta presto all’abbandono dell’attività agonistica di vertice, non prima però di avere stabilito con 2h21’21” il nuovo primato nazionale nel 1985. Almeno apparentemente. Perché la sua voglia di agonismo non si sopisce mai: la Benoit, mentre si impegna nella scrittura di libri dedicati alla corsa, all’insegnamento in corsi di atletica, all’organizzazione di gare, appena ritrova un filo di salute torna a gareggiare tanto che tra la sorpresa generale tenta la qualificazione per i Giochi Olimpici di Atlanta 1996, a 39 anni piazzandosi 13ª in 2h36’54”, mentre nel 2000 è ancora fra le prime 10. E nel 2003 si prende la soddisfazione, a 46 anni suonati, di vincere la Maine Half Marathon battendo atlete di oltre vent’anni più giovani e arrivando dietro a soli sei uomini.
Un giorno un amico le ricorda che nel 2019 cade il quarantennale della sua prima vittoria a Boston e Joan si rituffa in un’altra sfida: correre di nuovo la maratona con un tempo che non superi di 40 minuti quello del 1979. Per molti è una follia, ma a lei le follie piacciono: chiuderà in 3h05’18”, a 62 anni suonati, mezz’ora sola in più. E non finisce qui: “Mi sono ricordata che non ho mai corso a Londra e Berlino…”.
Credito foto: Organizzatori
Credito foto homepage: AP/Mark Elias
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