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LA CUPA DOMENICA DI ROUBAIX
di CicloZeman
Anche Peter Sagan (all'arrivo nella foto della homepage), alla sera della sua più importante vittoria in carriera (tris mondiale a parte) aveva poca voglia di festeggiare: i sorrisi e l’entusiasmo, in lui come nel suo staff e in tutto l’ambiente ciclistico, sono svaniti con il susseguirsi di notizie riguardanti la scomparsa del 20enne Michael Goolaerts, accasciatosi durante la corsa, vittima di un arresto cardiaco. I soccorsi sono stati tempestivi ma le immagini hanno subito evidenziato tutta la gravità del momento. Ci sarà tempo per capire le cause della tragedia, intanto però il ciclismo piange un’ennesima vittima di un inizio 2018 che, per le ragioni più diverse, si sta dimostrando maledetto.

"The show must go on", ed è andata avanti la Parigi-Roubaix che ha incoronato un campione con la C maiuscola. Con la vittoria ottenuta a Roubaix, Peter Sagan sale un altro gradino nella storia del ciclismo moderno. Lo slovacco ha già impresso il suo marchio nel terzo millennio con successi a ripetizione, ma gli si imputava una certa idiosincrasia per le classiche-monumento, dopo che aveva conquistato solo un’edizione del Giro delle Fiandre e la sconfitta della domenica precedente proprio al Fiandre non aveva fatto altro che dare vigore alla schiera dei suoi detrattori. Sagan ha risposto da par suo, conquistando la classica più difficile perché più imprevedibile, facendolo con una dimostrazione di potenza impressionante ma, a differenza di tante sue vittorie del passato, potendosi giovare di una squadra, la Bora Hansgrohe, che finalmente l’ha supportato. Daniel Oss, l’italiano che in passato aveva già dimostrato di sapersi ben gestire sul pavé, è stato un sostegno fondamentale per oltre metà gara, rintuzzando anche attacchi importanti e permettendo a Sagan di restare coperto fino a quando, a 52 km dalla conclusione, è andato all’offensiva. La cosa che ha fatto impressione è che non è scattato, né si è alzato sui pedali, gli avversari non sono proprio riusciti a rimanergli a ruota.

Sagan si è presto ricongiunto con l’ultimo drappello di fuggitivi della prima ora e a quel punto tutti pensavano che la corsa fosse chiusa, ma a tenere alta la tensione è stato Silvan Dillier (a sx nella foto del podio), il campione nazionale svizzero in forza all’AG2R La Mondiale che ha tenuto il ritmo di Sagan, mentre da dietro gli avversari provavano senza successo a riguadagnare terreno, pur collaborando fra loro. Col passare dei km lo spauracchio della sconfitta si faceva largo più tra i sostenitori di Sagan che nella mente dello slovacco che è sempre rimasto lucido, capendo che non era fattibile staccare il rivale, pericoloso allo sprint e quindi bisognava giocare d’astuzia: a meno di un km dalla conclusione ha chiesto il cambio a tirare (gli avversari erano a una quarantina di secondi) e Dillier è caduto nella trappola: Sagan l’ha tenuto avanti all’ingresso al velodromo, saltandolo ai 250 metri per andare a vincere la sua gara più prestigiosa, quinto uomo capace di riuscirci con indosso la maglia iridata. Per Dillier un’occasione persa in maniera sciocca, considerando anche il suo passato da pistard
La grande sconfitta di giornata è la Quick-Step Floors, che era vista da tutti come la squadra da battere e che fino all’azione di Sagan aveva dimostrato di esserlo, lanciando all’attacco prima Philippe Gilbert e poi Zdenek Stybar, incapaci però di fare realmente la differenza anche perché troppo lontani dal traguardo. Per questo l’azione di Sagan sembrava un azzardo, ma quando si hanno le sue gambe nulla è precluso, per questo ci ostiniamo a considerarlo un fattore anche per i prossimi Mondiali di Innsbruck, anche se il tracciato per scalatori puri poco si confà alle sue caratteristiche. Nel bilancio negativo della squadra però il terzo posto di Niki Terpstra, campione uscente, ha comunque valore anche perché conferma l’anziano olandese come uomo da classiche, il cui bilancio stagionale è in deciso credito.

Il bilancio assolutamente negativo è quello dei corridori italiani, ancora rimasti a bocca asciutta: è vero che Gianni Moscon è caduto quando la corsa si è accesa, è vero che Matteo Trentin aveva subito già la stessa sorte qualche km prima, ma il segreto della Roubaix è anche quello di prevenire le sue insidie, solo così se ne viene a capo, come Francesco Moser aveva insegnato oltre trent’anni fa. Si sperava che dopo le belle cose viste a inizio stagione, con la perla di Nibali a Sanremo, ci fosse stata un’inversione di tendenza per gli specialisti italiani delle classiche, vedremo se Olanda e Ardenne sapranno dare risposte più positive.
Credito foto: http://www.cyclingnews.com/

Credito foto homepage: http://www.cyclingnews.com/

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