Strana metamorfosi quella dell’ultratrentenne corridore olandese: quando vinse lo scorso anno la Parigi-Roubaix era considerato un carneade qualsiasi, un anno dopo era uno dei favoriti per la Campagna del Nord nella quale ha ottenuto un bottino ricco, con la vittoria di forza al Fiandre accompagnata dal terzo posto a Roubaix e con la ciliegina sulla torta del successo ad Harelbeke. Un corridore che rappresenta il perfetto prototipo del ciclista delle classiche, potente prima di tutto ma anche intelligente per capire quando scatenare tutta la potenza dei propri cavalli. Terpstra è perfetto per la prima parte delle classiche, quelle contraddistinte da percorsi molto variegati e duri, mentre Michael Valgren, il danese vincitore dell’Amstel Gold Race, è più adatto alla seconda parte, quella fatta di tracciati con salite aspre ma più semplici, un corridore che può andar bene anche per il resto della stagione, magari per togliersi qualche soddisfazione anche in qualche tappa di un grande Giro.
L’Amstel è una corsa particolare, va saputa interpretare: Vincenzo Nibali alla fine della sua prima esperienza al Giro delle Fiandre ha definito la corsa belga una sorta di lavatrice, ma quella olandese rispecchia anch’essa queste caratteristiche, tanto è vero che ci sono specialisti puri. Valgren, secondo due anni fa, è uno di questi, ma lo è anche il secondo, l’anziano ceko Roman Kreuziger vincitore della prova nel 2013 e ancor di più il terzo, Enrico Gasparotto che con questo centra il suo quarto podio, con due vittorie in carriera nella classica olandese. Non basta essere buoni scalatori o passisti, bisogna unire queste caratteristiche ed esaltarle attraverso la resistenza, per questo vince sempre un atleta al massimo della forma. Chi trionfa in Olanda non può essere un corridore qualsiasi…
Il podio di Gasparotto è l’unico sorriso per un ciclismo italiano che esce fortemente dimensionato da questa fase della stagione, per la quale tante erano le speranze alla vigilia. Moscon, Ulissi, Trentin, Viviani in un modo o nell’altro hanno fallito il loro grande appuntamento stagionale, chi per non aver trovato la gamba giusta, chi per un pizzico di sfortuna (vedi Moscon alla Roubaix) ma tutti hanno dato la sensazione di non avere pienamente compreso che per vincere in corse simili bisogna essere capaci d’inventare qualcosa e questo penalizza l’attuale ciclismo italiano che non riesce a trovare specialisti delle classiche del livello di Michele Bartoli o Paolo Bettini, che sapevano essere sempre protagonisti. Nibali alla Sanremo aveva fatto vedere come si fa, il suo messaggio è rimasto inascoltato.
L’ultima settimana è stata riservata alla Campagna delle Ardenne, per sua conformazione più adatta alle caratteristiche dei corridori italiani, ma le soddisfazioni arrivate sono state ben poche. Tante speranze erano riposte su Nibali alla Liegi e la sua sparata alla Freccia Vallone, quando con l’attacco a una cinquantina di km dalla conclusione aveva scompaginato le tattiche delle squadre avversarie, Movistar di Valverde in primis, aveva fatto ben sperare, ma il ciclismo non è mai una scienza esatta e nella Doyenne, dopo un grande lavoro della Bahrain Merida, il siciliano si è trovato con le gambe in croce al momento di portare la stoccata. Lo stesso Valverde però è rimasto a bocca asciutta nelle gare che più ama: alla Freccia è stato anticipato da Julian Alaphilippe, talentuoso francese che finalmente sembra pronto a riportare il ciclismo transalpino ai fasti di un tempo mentre alla Liegi è stato il lussemburghese Bob Jungels a trovare il tempo giusto per l’offensiva vincente. Il fatto che ambedue siano della Quick Step Floors (nella foto della homepage) non è un caso, visto che si tratta della squadra confermatasi nettamente la più forte per le classiche d’un giorno, con molte alternative al suo interno perché è stata costruita appositamente per queste.