Email not displaying correctly? View it in your browser
RITORNA ALLA NEWSLETTER
VITTORIA DI FROOME DIVERSA DAL SOLITO
di CicloZeman
Chiariamo subito un punto: ogni considerazione sul Giro d’Italia va fatta in base esclusivamente a quello che si è visto, con la forte speranza nel cuore che i verdetti finali non vengano inficiati da esami di laboratorio e sentenze conseguenti. La strada ci ha regalato un’edizione del Giro che difficilmente dimenticheremo, fondata sulla straordinaria impresa di Chris Froome (sopra nella foto e nella homepage) sulle Alpi piemontesi, a coronamento di una corsa rosa raddrizzata magicamente dopo un inizio disastroso. Il britannico, partito come grande favorito, era a Gerusalemme la pallida copia di se stesso e le cadute rimediate nei primi giorni, oltre a peggiorare la situazione, erano lo specchio di una condizione fisica lontana dal top. La condizione però è cresciuta man mano: sullo Zoncolan è arrivata la prima impresa, frutto più della sua caparbietà che di un effettivo strapotere fisico, tanto è vero che il giorno dopo a Sappada aveva parzialmente inficiato la bella prestazione del giorno prima. Anche nella cronometro di Rovereto, pur guadagnando sulla maglia rosa Yates e quasi tutti gli immediati inseguitori, non era sembrato il Froome del Tour. Serviva un colpo a effetto per ribaltare le carte e il britannico del Team Sky, supportato da una squadra confermatasi la più forte del lotto, l’ha servito sul Colle delle Finestre, andando in fuga a 80 km dalla conclusione dando vita a qualcosa che nel ciclismo moderno si era visto pochissime volte. Gli altri si sono alleati per andare a riprenderlo, ma andavano a velocità ridotta rispetto al britannico che guadagnava secondi su secondi, fino a impossessarsi della maglia rosa. Difenderla poi verso Cervinia era quasi un gioco da ragazzi, contro corridori che, a sua differenza, erano in calo di condizione.
 
Froome ha vinto il Giro su un terreno solitamente a lui non congeniale e in una maniera per lui insolita: al Tour era abituato a fare la differenza a cronometro e ad amministrare in salita. Alla Vuelta dello scorso anno era stato indubbiamente più attivo, ma al Giro la maglia rosa se l’è presa quasi con cattiveria, con due grandi prestazioni in salita (tanto è vero che ha fatto sua anche la maglia di miglior scalatore) ovviando a prove sul passo non all’altezza della sua fama. E’ un Froome diverso quello che esce fuori dal Giro, ora pronto a ricevere la sfida degli altri specialisti delle corse a tappe alla Grande Boucle, dove partirà ancora coi i favori del pronostico, ma con l’incognita di tre settimane di corsa fuori dal consueto che potrebbero lasciare strascichi.
 
Froome a parte, dal Giro emergono un Dumoulin (nella foto della homepage) confermatosi grande interprete di questo tipo di corse ma certamente meno brillante rispetto allo scorso anno, due nuovi scalatori di razza come il colombiano Lopez e l’ecuadoregno Carabaz e un Pozzovivo quasi commovente, il cui quinto posto vale molto più di quel che sembra. La prestazione dell’anziano scalatore lucano è l’unica luce di un Giro che, in chiave italiana, al di là delle volate di Viviani, ha confermato come la crisi del nostro ciclismo sia profonda. Non siamo attualmente in grado di sfornare altro che buoni gregari, ambiti dalle varie multinazionali, ma non corridori vincenti, né nelle classiche d’un giorno né nei grandi Giri e dobbiamo affidarci agli ultimi campioni delle generazioni passate, come Nibali. Il futuro è fosco, lo ha ammesso anche il Ct Davide Cassani e tale sarà finché non arriveranno nuovi investimenti, tali magari da portare nel World Tour qualche formazione italiana. Solo allora si potrà ripartire.
Credito foto: bettiniphoto_per_sidi.com

Credito foto homepage: bettiniphoto_per_sidi.com

Sport Service S.r.l. Milano, Via Smareglia Antonio, 7