L’analisi delle gare inserite nel World Tour ci dice molto sull’andamento dell’ultima stagione professionistica. Molto si è parlato ad esempio del dominio britannico nelle grandi prove a tappe: gli albionici sono riusciti nell’impresa di conquistare tutti e tre i grandi giri con uomini sempre diversi il che la dice lunga sulle capacità del movimento inglese, che ha sì due elementi come Froome e Thomas che cominciano ad essere avanti negli anni, ma ha anche la coppia di fratelli Yates che si candida per collezionare successi in serie. Ma a ben guardare, la stagione ha detto anche molto altro.
C’è molto fermento fra gli specialisti delle prove a tappe. La stagione 2018 ci regala un corridore da seguire con particolare attenzione nel futuro, lo sloveno Primoz Roglic vincitore sia del Giro dei Paesi Baschi che di quello di Romandia, che al Tour ha dimostrato di poter competere per la vittoria anche nei grandi Giri, solo con un po’ di esperienza in più. Allargando il discorso, la supremazia del Team Sky nelle gare di più giorni è addirittura schiacciante, con i leader Froome e Thomas che hanno già trovato nel colombiano Bernal il loro erede e con Kwiatkowsky che se nelle prove d’un giorno ha segnato il passo, ha comunque impreziosito la sua stagione con due importanti successi alla Tirreno-Adriatico e al Giro di Polonia.
Analizzando le classiche in linea, emerge come non ci sia un chiaro dominatore: considerare l’ex iridato slovacco Peter Sagan come il numero uno è legittimo, anche perché il campione della Bora Hansgrohe ha pur sempre portato a casa due appuntamenti delle Classiche del Nord tra cui la Parigi-Roubaix, ma certamente, considerate le sue grandissime capacità, era lecito attendersi qualcosa in più, invece dopo la primavera il corridore slovacco ha fatto ben poco. Sono così emersi più nomi, come l’australiano Michael Matthews che ha fatto doppietta in Canada e soprattutto con la Quick Step Floors che si è confermata il vero contraltare del Team Sky per le prove in linea, potendo vantare un numero impressionante di corridori dal profilo vincente e potendo così disporre di una varietà di temi strategici, dall’impostazione di gare per la volata a prove più "ciclozemaniane" e vinte di forza-resistenza.
In casa italiana sono sì mancati gli acuti nelle classiche del nord e nei grandi giri, ma portiamo a casa comunque tre vittorie, rimanendo in scia alle altre grandi potenze del movimento. Tre vincitori con caratteristiche e storie diverse, Nibali autore di un colpo di genio a Sanremo, Viviani confermatosi principe delle volate a Londra e Moscon inventatosi corridore a tappe in Cina per chiudere una stagione che ha destato tante promesse, che ora vanno realizzate. Curiosamente non c’è l’uomo che ha colto ben 8 piazzamenti come miglior italiano, quel Diego Ulissi che ha seguito più di altri lo sviluppo del World Tour provando a essere protagonista sia nelle classiche che nelle prove a tappe. Ulissi è un corridore con grandi possibilità, al quale forse manca proprio quel “killer instinct” che fa la differenza: alle soglie dei 30 anni, non c’è più tempo da perdere se vuole fare il definitivo salto di qualità.
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