Nel complesso la stagione elite si riassume qui: troppa la differenza fra i primi tre e il resto della compagnia, il che non depone a favore dello sviluppo della specialità. Probabilmente c’è da attendere la maturazione di forze nuove, a cominciare dalla novella scuola britannica che ha in Pidcock e Tulett due grandi talenti che in proiezione possono dire la loro, ma è chiaro che la scomparsa di altre scuole, dalla ceka alla francese, dalla tedesca a quella, ahinoi, italiana pesa fortemente.
In campo femminile il discorso è abbastanza simile, anche se ai massimi livelli le protagoniste sono in numero maggiore. La belga Sanne Cant ha seguito per sommi capi l’esempio di Van der Poel, incassando sonore sconfitte a inizio stagione ma emergendo in maniera prepotente nel finale, quando contava davvero. Uno smacco per le olandesi, che in Danimarca le hanno provate tutte isolandola durante la corsa, ma non trovando il modo per staccarla fino all’epilogo a loro sfavorevole.
Capitolo Italia e qui il discorso è più complesso. Il Mondiale si è risolto ancora una volta senza medaglie, ma segnali a livello giovanile sono arrivati perché i piazzamenti a ridosso del podio della Persico e di Dorigoni non sono frutto del caso. La delusione, se proprio dobbiamo considerarla tale, è stata la Arzuffi che a inizio stagione aveva fatto sognare vincendo anche una prova del Superprestige e arrivando in testa alla classifica della challenge, ma la sua condizione è andata progressivamente spegnendosi già a gennaio. La ragazza ha comunque tutte le possibilità per emergere, al pari del tricolore Gioele Bertolini che ha sfruttato la stagione per imparare, schierandosi al via in molte prove estere, incassando pesanti sconfitte ma incamerando importanti esperienze. L’anno prossimo guadagnerà posizioni, continuando su questa strada, ma intanto c’è una stagione di Mtb da vivere a tutta anche perché c’è un sogno olimpico che lo aspetta.