Raramente la Parigi-Roubaix premia autentici carneadi e l’edizione di quest’anno conferma come per transitare per primi sotto il traguardo del velodromo di Roubaix si debba essere in possesso delle stigmate del campione. Philippe Gilbert (nella foto della homepage all'arrivo) ce l’ha, anzi è uno dei pochissimi nell’intera storia del ciclismo ad aver centrato in carriera 4 classiche Monumento su 5, l’unica che gli è sfuggita (la Sanremo) è forse quella che per caratteristiche meglio si adattava al suo profilo come dimostrano i terzi posti del 2008 e 2011. La Roubaix era invece quella che aveva sempre considerata contraria alla sua indole, troppo difficile per il suo percorso lastricato. Con gli anni però Gilbert ha affinato la sua resistenza: nella Decxeuninck QuickStep era diventato una sorta di comandante in corsa, il regista che pilotava le tante punte della squadra più forte del mondo (a Roubaix quattro dei primi 7 sono suoi…) ma questa volta è tornato a giocare in prima battuta come ai tempi belli e i risultati si sono visti.
La sua vittoria è certamente quella della squadra, che ha gestito la corsa senza alcun patema e nella quale Gilbert ha trovato due validissimi scudieri in Lampaert, alla fine terzo e Senechal, sesto, con il primo fondamentale nell’interrompere il lavoro dei primi inseguitori quando il sestetto di testa, proprio sotto la spinta di Gilbert, si è avvantaggiato. Contro la Deceuninck QuickStep si è scontrato il miglior Peter Sagan della stagione, al quale però nel finale sono mancate le gambe per provare ulteriormente a confermare il trono dello scorso anno e a lottare perlomeno per il podio. La sensazione è che allo slovacco manchi qualcosa, forse un intoppo nella preparazione invernale, ma non è certo il Sagan che conoscevamo. Le restanti classiche del Nord meno si confanno alle sue caratteristiche, ma chissà che all’Amstel non provi a ribaltare le carte.
|